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Un po’ di storia

Gli uomini, fin dai primi abitanti della Terra, si sono sempre sforzati di comunicare tra di loro.
Dai primi rudimentali gesti e suoni, col passare del tempo, i suoni diventarono parole: gli uomini impararono a “parlare”. Il passo successivo fu quello di lasciare segno del loro vivere che divennero disegni. Nella nostra regione si insediarono i Camuni che lasciarono tracce dei loro insediamenti con dei significativi disegni ammirabili in Val Camonica.

L’evoluzione della scrittura andò di pari passo con l’evoluzione dell’uomo, così come i materiali usati per tramandare questo sapere. Il papiro venne usato nell’antico Egitto, l’argilla in Mesopotamia, tavolette di legno in Islanda, i rotoli di tela di lino dagli Etruschi e dai primi Romani. Con la pergamena (o carta pecora), utilizzabile su ambo i lati, si passò ad unire i fogli, formando in tal modo una sorta di libro.

I Romani risolsero il problema della riproduzione di copie grazie alla dettatura collettiva: un rapido (si fa per dire) sistema di riproduzione in serie, per sua natura causa di errori a profusione. Le opere comunque furono commercializzate da una vasta organizzazione che presto invase l’Impero.

La nascita dei monasteri favorì non solo la conservazione, ma anche la ricopiatura dei libri. Disponendo di numerosa e preparata manodopera interna, gli ordini religiosi si specializzarono nella riproduzione dei testi originali: gli amanuensi ci hanno lasciato un patrimonio ineguagliabile, a volte vere e proprie opere d’arte, ricche di miniature.

Raccolti in apposite stanze che divennero poi le prime biblioteche, i libri erano però molto cari e se li potevano permettere solo i benestanti, le chiese, i monasteri e i conventi.
La grande rivoluzione avvenne con l’invenzione della stampa.

Il testo veniva inciso al contrario su tavolette di legno e poi, dopo essere state inchiostrate, trasferite su carta per innumerevoli volte. Incidere queste tavolette era un lavoro assai lento: occorreva trovare un sistema più rapido e comodo per comporre le pagine, e il tedesco Johann Gutenberg (1397-1468) inventò i caratteri mobili. Per la verità Gutenberg è il più noto. Anche altri personaggi sono da considerare padri della “rivoluzione” tipografica al pari del tedesco: Laurens Janszoon Coster (1379-1450) olandese e Panfilo Castaldi (1398-1479) feltrese. Il Castaldi (nipote di Marco Polo) sarebbe stato il primo inventore dei caratteri mobili per la stampa (fatti in vetro dai maestri vetrai di Murano) e avrebbe insegnato tale procedimento ad un tedesco suo ospite a Feltre, che poi fece conoscere la tecnica a Magonza. Il primo libro stampato dal Castaldi uscì 22 anni prima di quello di Gutenberg. Un po’ di orgoglio nazionale…

Si preparavano le singole lettere che poi, composte insieme, formavano le parole. Una volta usate per stampare il libro, le parole venivano scomposte e i caratteri mobili erano pronti per essere usati di nuovo. L’invenzione dei caratteri mobili fu il primo grande passo verso una produzione più intensa di libri, richiesta da un sempre più vasto numero di lettori. Stampare libri diventa più semplice e rapido, e perciò il libro meno costoso e più accessibile.

Nei primi tempi in cui si cominciavano a stampare libri, lo stampatore doveva essere anche disegnatore e incisore di caratteri, editore e magari anche venditore. Poi il lavoro si suddivise in mansioni specializzate e nacquero nuove figure professionali. Uno dei più grandi tipografi/disegnatori di caratteri fu Aldo Manuzio (1449-1515) che inventò il corsivo, chiamato ancora oggi Italico o Aldino in onore del suo ideatore.

Un altro grande disegnatore fu Giovanni Battista Bodoni (1740-1813). Il carattere Bodoni, nelle sue svariate forme, si usa moltissimo anche ai giorni nostri. Bodoni pubblicò poi delle opere che sono considerate i migliori prodotti dell’arte tipografica italiana dopo quelli del Manuzio.
La componente più costosa per la stampa dei libri divenne la carta, perché preparata interamente a mano. Il primo documento storico per la fabbricazione di carta in Italia è datato 1276 a Fabriano. Dei pistoni frantumavano un impasto di lino, canapa, paglia e legno: un procedimento mai usato a quei tempi. Qui poi si inserisce un’altra grande rivoluzione: il collaggio effettuato con un bagno di gelatina animale ricavato da scarti di conceria (un bell’esempio di riciclaggio). Il risultato era una carta resistente e inattaccabile dalle muffe che, invece, divoravano in poco tempo quella prodotta col metodo cinese e arabo. Il marchio di fabbrica impresso mediante filigrana distingueva una bottega dall’altra e fu un altro colpo di genio dei cartai di Fabriano che è ancora oggi usatissimo nella carta-moneta. Un altro po’ di orgoglio nazionale…

Si lavorò anche per migliorare le macchine da stampa: nel 1814 il giornale The Times di Londra installa la prima rotativa azionata dalla pressione del vapore. Rivoluzionaria rispetto alle macchine da stampa usate fino ad allora: si basava su due cilindri ruotanti, in mezzo ai quali veniva fatta passare la carta e la stampa risultava molto più rapida.

Dopo queste innovazioni, il processo più antiquato rimaneva la composizione con successiva scomposizione dei testi dei libri. Una delle prime macchine che sopperì a questa lentezza fu la linotype (1884): una sorta di macchina per scrivere che riuniva insieme le matrici per la fusione dei caratteri. Questo sistema è stato abbandonato non molti anni fa con l’avvento dei computer, che hanno rivoluzionato la preparazione delle forme per la stampa, garantendo una rapidità e una precisione mai conosciute prima.

Ulteriore spinta alla rapidità e alla precisione è stata data dal CTP (computer to plate): un raggio laser incide le lastre in alluminio eliminando il passaggio intermezzo tra computer e macchina da stampa.
Fino a trenta/quarant’anni fa questo era il mondo della stampa tradizionale (o tipografica). Ora questo mondo, escluso alcuni rari casi, non esiste più.

Il nostro vuole essere un omaggio, per ovvie ragioni molto succinto, a questo mondo.
A noi piace ricordarlo perché è stata, ed è ancora, la vita della famiglia Verga di Macherio.